Scivoli sulla scalinata di Piazza di Spagna? Quando il Comune non paga (ord. Cass. 11 novembre 2025, n. 29760)
La Terza Sezione civile ha dichiarato inammissibile il ricorso di una cittadina che, caduta nel 2014 lungo la prima rampa della scalinata di Trinità dei Monti, chiedeva a Roma Capitale il risarcimento ex art. 2051 c.c.. La donna invocava la custodia del bene pubblico, descrivendo gradini usurati, scivolosi e privi di presidi di sicurezza; chiedeva oltre € 128.772 per danno biologico, oltre spese e accessori. Tribunale e Corte d’appello di Roma avevano già respinto: la Cassazione chiude il cerchio.
Il punto di diritto: custodia sì, ma il nesso causale va provato
La Suprema Corte richiama il filone consolidato su cose in custodia: la responsabilità ex art. 2051 è oggettiva e richiede solo la prova del nesso causale tra la “cosa” e il danno. Tuttavia il custode si libera provando il caso fortuito, che può consistere anche nella condotta imprudente del danneggiato. Quanto più la situazione di rischio è prevedibile e superabile con normali cautele, tanto più cresce l’efficienza causale del comportamento dell’utente, fino a recidere il nesso.
Tradotto: per far condannare il Comune non basta dire “sono caduta sulla scala”. Occorre dimostrare che quelle specifiche condizioni, nel punto preciso della caduta, hanno determinato l’evento e non erano superabili con l’ordinaria attenzione richiesta a chi percorre una scalinata monumentale.
Perché il ricorso non è stato accolto: prove generiche e rischio “visibile”
La Corte conferma la motivazione d’appello, immune da vizi logici:
Dinamica imprecisa: nell’atto introduttivo non erano indicati orario e punto esatto della caduta (dati decisivi per visibilità e condizioni del luogo).
Capitoli istruttori generici: non idonei a dimostrare cause dell’evento, ma solo il transito sulla scalinata.
Nessuna foto del punto di caduta: mancavano immagini utili a valutare la presunta anomalia.
Inerzia processuale: dopo la revoca dell’ordinanza testimoniale, nessuna richiesta di ripristino o riproposizione efficace delle prove, neppure in appello.
Ammissioni della danneggiata: tempo bello, niente pioggia, nessuno davanti mentre scendeva: dunque le condizioni dei gradini erano pienamente visibili.
Natura del bene: scalinata storica, statica, ben nota per irregolarità congenite e per il traffico pedonale; non intrinsecamente pericolosa.
In tale quadro, la Corte d’appello aveva escluso la prova del nesso causale e, in ogni caso, aveva ravvisato un comportamento disattento dell’utente idoneo a interrompere la sequenza eziologica: valutazione di fatto non sindacabile in legittimità se congruamente motivata.
“Insidia” e 2043 c.c.? Non basta invocarla se il pericolo è evitabile
La ricorrente provava a invocare l’art. 2043 c.c.. La Cassazione ricorda che senza elementi concreti su imprevedibilità e non evitabilità del pericolo la responsabilità aquiliana non si applica: qui il rischio era avvistabile, prevedibile e superabile con l’uso di normali cautele su una scalinata monumentale, per giunta in condizioni meteo favorevoli e senza affollamento.
Cosa ci insegna questa ordinanza per i sinistri su beni monumentali
Prova chirurgica del nesso: servono indicazioni puntuali su quando e dove è avvenuta la caduta, foto del punto, rilievi sulle condizioni del piano di calpestio, eventuali testimoni e atti di pronto soccorso che descrivano il contesto.
Visibilità e prevedibilità pesano moltissimo: scale irregolari, gradini consumati, pendenze e usura sono spesso caratteristiche connaturali dei beni storici, non “difetti” in sé.
Condotta dell’utente: calzature inadeguate, distrazione, corsa, uso del telefono o mancata attenzione a un pericolo evidente possono integrare caso fortuito o concorso colposo.
Monumenti e tutela: su beni vincolati gli interventi “antiscivolo” o barriere non sempre sono compatibili con la conservazione; ciò non elimina la custodia, ma rende più stringente l’onere di provare un’anomalia specifica e non superabile con prudenza ordinaria.
Esito: ricorso inammissibile
La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile e ha condannato la ricorrente a rifondere a Roma Capitale le spese del giudizio di legittimità (€ 7.700 per compensi, 15% spese forfettarie, € 200 esborsi, oltre accessori). Ha dato inoltre atto, ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, D.P.R. 115/2002, dei presupposti per l’ulteriore contributo unificato (se dovuto).
In sintesi
Non basta cadere su un bene pubblico: bisogna provare che quella specifica anomalia ha causato il sinistro.
Se il rischio era evidente, la condotta dell’utente può esculdere il nesso causale e far dichiarare inammissibile la domanda.
Nei beni monumentali, le caratteristiche storiche non equivalgono a difetto di manutenzione: servono riscontri puntuali e documentati.
In Cassazione non si rifà il processo: le censure valutative sul fatto e sulle prove, se la motivazione d’appello è coerente, sono inammissibili.
Conclusioni
In questi sinistri la strategia vincente è una istruttoria fotografica e testimoniale precisa sin dall’atto introduttivo. Se vi trovate in situazioni simili, è opportuno contattare un avvocato esperto in infortunistica stradale.