Massaggiatore della Primavera dell’Atalanta: la Cassazione esclude il rapporto di lavoro subordinato

Introduzione

La sentenza della Corte di Cassazione del 31 luglio 2025 (Adunanza camerale del 10 giugno 2025) affronta la qualificazione del rapporto tra un massaggiatore e una società calcistica di Serie A. Il caso trae origine dalla richiesta di un lavoratore che, dopo aver collaborato per diversi anni con la formazione giovanile dell’Atalanta Bergamasca Calcio, ha domandato di vedersi riconosciuto un rapporto di lavoro subordinato relativo all’intero periodo di collaborazione.

Il fatto

Pi.St. ha dichiarato di aver svolto mansioni di massaggiatore ufficiale della formazione giovanile per quasi nove anni, con orari concordati e continuità di prestazione. Ha chiesto che la società fosse condannata a corrispondergli oltre 79.000 euro di differenze retributive.

Il Tribunale di Bergamo ha respinto la domanda, ritenendo insussistente la subordinazione. La Corte d’Appello di Brescia, nel 2020, ha confermato la decisione, evidenziando l’assenza degli indici tipici del lavoro dipendente.

I motivi di ricorso

In Cassazione, il ricorrente ha dedotto sei motivi, sostenendo:

  • la possibilità di ricondurre il massaggiatore, se stabilmente inserito nell’organizzazione della squadra, alla disciplina del lavoro subordinato, pur non essendo espressamente previsto dalla L. 91/1981;
  • la presenza di elementi indiziari di subordinazione (orari fissi, compenso mensile, obbligo di partecipare ad allenamenti e partite);
  • il valore probatorio di buste paga e CUD;
  • l’illegittimità dei contratti a termine.

Secondo quanto previsto dall’articolo 2 della legge n. 91 del 1981, le figure qualificate come sportivi professionisti sono individuate in maniera tassativa e comprendono esclusivamente atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici.

Ne consegue che lo svolgimento di attività di massaggiatore, anche in ambito calcistico professionistico, non è sufficiente per attribuire al rapporto la natura subordinata: è sempre necessario valutare concretamente le modalità di svolgimento dell’incarico.

In questa ottica, la Corte ha chiarito che la verifica deve concentrarsi sulla reale sussistenza di un assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del committente, con attenzione specifica all’organizzazione degli orari, dei luoghi in cui l’attività viene svolta e delle concrete modalità di esecuzione dell’incarico.

La valutazione degli indici di subordinazione

La Corte d’Appello aveva rilevato che:

  • dalle risultanze istruttorie è emerso che l’attività veniva svolta per quattro o cinque giorni alla settimana, prevalentemente nelle ore pomeridiane, in concomitanza con il programma di allenamenti e con gli impegni agonistici della squadra.
  • non vi era un orario imposto unilateralmente, ma la prestazione era definita a inizio stagione in base anche agli impegni personali del massaggiatore, che svolgeva parallelamente attività nel proprio studio;
  • era possibile modificare la propria presenza previo avviso e sostituzione con altri fisioterapisti;
  • gli obblighi di “fedeltà” e “lealtà” derivavano dal contesto sportivo e non da un potere disciplinare tipico del lavoro dipendente.

Perché non c’è subordinazione

L’unico elemento che poteva far pensare a un rapporto subordinato era l’obbligo di rispettare gli orari di allenamenti e partite. Tuttavia, ciò derivava dalla natura stessa della prestazione concordata, non da un potere direttivo della società.

L’immutabilità degli impegni settimanali consentiva al massaggiatore di pianificare anche la propria attività privata, evidenziando autonomia organizzativa Risultava assente l’elemento cardine del lavoro subordinato, ossia il potere del datore di modificare in via unilaterale le modalità con cui la prestazione doveva essere eseguita.

Il rigetto del ricorso

La Cassazione ha ritenuto i motivi privi di fondamento o non ammissibili, richiamando il principio della “doppia conforme”: quando le decisioni di primo e secondo grado coincidono nella ricostruzione dei fatti, il giudice di legittimità non può procedere a un nuovo esame del merito.

La Corte ha inoltre ricordato che non è consentito inserire, in un unico motivo di ricorso, contestazioni di natura diversa – come la violazione di legge e il vizio di motivazione – lasciando al giudice il compito di separarle e riformularle.

Principi affermati

Dalla decisione emergono quattro punti chiave:

  1. Chiusura dell’elenco dell’art. 2 L. 91/1981: il massaggiatore non rientra tra gli sportivi professionisti e non ha diritto alla qualificazione subordinata automatica.
  2. Verifica concreta della subordinazione: la natura del rapporto va accertata caso per caso.
  3. Autonomia organizzativa: la possibilità di concordare e modificare gli impegni e di mantenere un’attività autonoma parallela esclude la subordinazione.
  4. Limiti del giudizio di legittimità: la Cassazione non rivaluta i fatti accertati nei gradi di merito.

Considerazioni finali

Questa pronuncia conferma un approccio restrittivo nell’applicazione della L. 91/1981 e precisa che figure come massaggiatori, fisioterapisti e medici sociali non rientrano automaticamente nel perimetro del lavoro subordinato sportivo.

Per ottenere tale riconoscimento, occorre dimostrare un reale assoggettamento al potere direttivo e organizzativo della società, non bastando la sola presenza ad allenamenti e gare.

Conclusione

La Cassazione ha respinto il ricorso, condannando il ricorrente alle spese processuali e al versamento dell’ulteriore contributo unificato. La decisione segna un ulteriore passo nella definizione dei confini tra lavoro autonomo e subordinato nel settore sportivo, sottolineando l’importanza di un’analisi concreta delle modalità di svolgimento della prestazione.