Reddito di cittadinanza: la Corte Costituzionale dice no al requisito dei 10 anni di residenza

Una recente sentenza della Corte costituzionale cambia le regole sull’accesso al Reddito di cittadinanza: non servono più 10 anni di residenza in Italia, ne bastano 5. La decisione arriva dopo il ricorso di alcuni cittadini europei e chiarisce un punto importante sui diritti sociali.

Cosa è successo?

Nel 2022, alcuni cittadini romeni hanno fatto causa all’INPS perché non avevano ricevuto il Reddito di cittadinanza (Rdc), pur essendo in difficoltà economica. Il motivo? Non erano residenti in Italia da almeno 10 anni, come prevedeva la legge all’epoca.

Il caso è arrivato fino alla Corte d’appello di Milano, che ha deciso di chiedere alla Corte costituzionale se questa regola fosse giusta oppure no. La Corte ha analizzato la questione e ha dato una risposta chiara: quel requisito è esagerato e va contro il principio di uguaglianza.

Perché era richiesto un requisito così lungo?

Quando è stato introdotto, il Reddito di cittadinanza voleva essere qualcosa di più di un semplice aiuto economico. Oltre ai soldi, offriva un percorso di reinserimento nel mondo del lavoro, con incontri, corsi di formazione e obblighi precisi per i beneficiari. Per questo motivo, lo Stato chiedeva delle condizioni molto rigide, tra cui appunto quella della residenza in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi 2 in modo continuativo.

Secondo il legislatore, questa regola doveva garantire che i benefici andassero solo a chi era veramente “radicato” in Italia.

Il problema: la regola colpiva soprattutto gli stranieri

Il punto centrale è che questa regola, anche se uguale per tutti, colpiva in modo particolare chi è arrivato in Italia da un altro Paese.

Infatti, un cittadino italiano è molto più facilmente in grado di dimostrare di essere residente in Italia da 10 anni. Per un cittadino straniero, anche europeo, è molto più difficile soddisfare questo requisito, anche se vive, lavora e contribuisce in Italia da anni.

Questo si chiama discriminazione indiretta: una regola che sembra neutra, ma che nella realtà svantaggia soprattutto un certo gruppo di persone, in questo caso i cittadini stranieri.

Cosa ha detto la Corte costituzionale?

Con la sentenza di n. 31 del 2025, la Corte ha detto che il requisito dei 10 anni è esagerato e non proporzionato. Non è giusto impedire l’accesso a una misura come il Reddito di cittadinanza solo perché una persona vive in Italia “solo” da 7 o 8 anni.

La Corte ha stabilito che è legittimo chiedere una certa stabilità a chi riceve un aiuto pubblico, ma questa stabilità si può dimostrare anche con 5 anni di residenza.

Quindi, la norma è stata modificata: non più 10 anni, ma almeno 5 anni di residenza, di cui gli ultimi 2 in modo continuativo.

Perché questa sentenza è importante?

Anche se il Reddito di cittadinanza non esiste più (dal 2024 è stato sostituito dall’assegno di inclusione, che prevede già un requisito di 5 anni), la sentenza resta importante per diversi motivi:

  • Riconosce i diritti dei cittadini europei che vivono in Italia e contribuiscono alla società.
  • Chiarisce che non si possono creare barriere troppo alte per accedere ai diritti sociali.
  • Potrebbe aiutare altre persone che, in passato, non hanno ricevuto il Reddito di cittadinanza proprio per il requisito dei 10 anni.

E ora cosa succede?

Chi è stato escluso dal Reddito di cittadinanza solo per non aver raggiunto i 10 anni di residenza, potrebbe valutare con un avvocato se è possibile chiedere un risarcimento o una revisione della propria situazione.

Naturalmente, ogni caso è diverso e va analizzato singolarmente. Ma questa sentenza ha creato un precedente molto forte, che rafforza la posizione di tanti cittadini stranieri (e non solo) che si sono sentiti ingiustamente esclusi.

Un passo avanti contro le disuguaglianze

La Corte costituzionale ha ricordato che non si può combattere la povertà creando nuove disuguaglianze. Le misure sociali devono essere eque, accessibili e pensate per aiutare davvero chi è in difficoltà, non per escludere chi ha fatto la scelta di vivere e lavorare in Italia.

Anche i cittadini europei hanno diritto a un trattamento equo, soprattutto se lavorano, pagano le tasse e partecipano attivamente alla società.

Conclusione

Questa sentenza dimostra che anche le leggi possono cambiare, se sono ingiuste o sproporzionate. La giustizia costituzionale serve proprio a questo: a verificare che le norme rispettino i diritti fondamentali di tutte le persone, senza creare ingiustizie nascoste dietro regole troppo rigide.

Il messaggio è chiaro: in una società che cambia, anche le regole devono essere più giuste, più inclusive e più umane.